Un articolo sul ponte sullo Stretto pubblicato su Repubblica nel 2016. Interessantissimo

 Fin da quando a Silvio Berlusconi venne in testa l'idea di rilanciare il progetto del Ponte sullo Stretto la pregiudiziale ideologica - soprattutto di certa sinistra - verso l'opera è stata inesorabile: una "fatwa" (per inciso, stride un po' l'idea di una sinistra dell'accoglienza ai migranti contraria a un ponte, che, di per sé, è simbolo di unione e di scambio di culture). Ma tra i contrari ideologici c'è anche la Lega Nord, che ritardò fattivamente l'opera quando sembrava lì lì per partire e che oggi, con Salvini, dichiara la propria contrarietà tout court. E ci sono i 5 Stelle, disposti a bloccare tutto pur di accreditarsi come moralizzatori finali.


C'è poi un'opinione pubblica nazionale permeata di un certo criptorazzismo verso il Sud, intimamente convinta che i soldi spesi in quelle lande siano persi; e infine c'è l'autorazzismo di molti meridionali, sostanzialmente dello stesso avviso. E allora via col "benaltrismo": "prima in Sicilia e Calabria ci vorrebbe ben altro". Sì, ma cosa/quando/come? Non costruire il ponte fino ad oggi non ha portato alla realizzazione di nessun "ben altro" a livello infrastrutturale. Eppure, sgombrando il campo da queste tare di varia origine, il Ponte sarebbe un'infrastruttura obiettivamente utile al Paese, connettendo il Sud a se stesso, in primo luogo. Un meridione che è attualmente un arcipelago dal punto di vista della raggiungibilità fisica. Inquadrare l'opera nell'ambito del corridoio europeo che porta a Palermo, come fatto dal ministro Delrio, è la corretta prospettiva. Da un punto di vista della giustificabilità della realizzazione, quella è la chiave.





Ma anche parlando solo di Ponte - scevro dal contesto del corridoio europeo - e della sua valenza ferroviaria, il fatto che farebbe risparmiare circa due ore di tempo ai viaggiatori sembra già una ragione solidissima per la sua costruzione. Secondo gli ultimi calcoli l'opera, se finanziata dallo Stato, costerebbe sui quattro miliardi di euro, meno - ad esempio - del tratto Bologna-Firenze dell'alta velocità ferroviaria, che costò sui 70 milioni di euro al Km, per un risparmio di tempo di circa quindici minuti. Altro punto da non sottovalutare. L'esistenza del manufatto metterebbe in concorrenza più modalità di trasporto, almeno per le tratte di media lunghezza (diciamo fino a Firenze). Ciò farebbe abbassare automaticamente i prezzi praticati dai vettori aerei da e per l'Isola, oggi arrivati a livelli inaccettabili.

Altro tipo di concorrenza si verrebbe poi a sviluppare nel passaggio sullo Stretto dei mezzi su gomma. Oggi il traghettamento, per una normale autovettura, costa sui 40 euro: un'enormità. Ponte e traghetti sarebbero portati a farsi una sana guerra di tariffe per accaparrarsi clientela, a tutto vantaggio dei fruitori. Ulteriore considerazione. Fra le opere compensative e collegate al progetto del Ponte, poi affondato con legge del governo Monti, vi erano alcuni di quei "ben altro" che si sostanziavano in infrastrutture, sistemi di monitoraggio ed interventi ambientali sul territorio che - per rimanere solo sulla sponda siciliana - avrebbero cambiato in meglio la vivibilità e la sicurezza di Messina. Ma è tecnicamente fattibile quest'opera? E ci sono costi ambientali da pagare? Riguardo al secondo interrogativo, il rischio maggiore riguarda lo smaltimento del significativo volume di terreno da asportare per la costruzione delle torri: si dovranno fare delle scelte non deturpanti e ragionate. Per il resto non sembrano esserci criticità: per la zona dove insisterà il pilone sulla sponda siciliana è prevista anzi una riqualificazione con costruzione di un collettore fognario che interesserà tutti i villaggi della zona Nord di Messina (attualmente la situazione igienica è disastrosa). Nemmeno da commentare i pericoli paventati quali l'ombra del ponte che spaventerebbe i cetacei o uccelli migratori che ci andrebbero a sbattere contro.

Sulla fattibilità, che è il nocciolo della questione, non si possono dare certezze assolute, come per la maggior parte delle strutture ingegneristiche di tale arditezza (non escludibile l'eventuale insorgenza di problemi in corso d'opera che porterebbero a varianti). Il ponte sospeso attualmente più lungo al mondo fu costruito circa vent'anni fa sullo Stretto di Akashi, in Giappone, ed ha una lunghezza sospesa di 2 Km. Fu realizzato sopra una faglia attiva ed ha resistito ad un sisma di grado 6.8 Richter. A Messina il ponte dovrebbe avere una lunghezza, nel tratto sospeso, di 3,3 Km e resisterebbe ad un sisma di grado 7.1 (come quello del 1908). Notevole, dunque, la differenza. Le simulazioni, lo studio della zona da un punto di vista geologico e sismico, alcune soluzioni tecniche innovative pensate per l'impalcato, portano a pensare che ci siano ottime possibilità di riuscita con le soluzioni progettuali scelte. Questa grande scommessa, in un Paese dinamico e moderno, dovrebbe entusiasmare politica, stampa ed opinione pubblica. In Italia pare succedere, invece, l'esatto opposto. Un po' lo specchio di questo Paese in crisi profonda, scoraggiato, in conflitto con se stesso e con spettri del passato che sembravano sconfitti. Quindi, è vero, prima del Ponte ci vorrebbe "ben altro": il coraggio di andare contro i cliché, e la fiducia nel futuro.
Massimo Puleo
 

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